MARRANA DELL’ACQUA MARIANA 

di Fabio Depino

Nel Parco dell’Appia Antica, oltre al fiume Almone esiste un altro corso d’acqua, che ha rivestito una notevole importanza nei secoli passati, a partire dal periodo medievale.

Le sue acque difatti furono utilizzate oltre che in agricoltura anche per fornire l’energia necessaria ai numerosi mulini e opifici vari che sorgevano lungo il suo percorso. Oggi purtroppo appare come una vera e propria fogna a cielo aperto a causa degli scarichi che riceve nel territorio di alcuni comuni che attraversa come Grottaferrata, Marino e Ciampino.

La sua storia è antica e risale al Medioevo. L’antica Roma, come è noto, era servita da un sistema di acquedotti (11) che ne facevano la città meglio servita del mondo antico (13 metri cubi al secondo contro i 15 di oggi e i 12 del 1970) e in alcuni casi anche di alcune città moderne. A partire dall’assedio dei Goti di Vitige (539 d.C.), che tagliarono gli acquedotti per impedire l’approvvigionamento idrico della città, queste importanti strutture iniziarono il loro periodo di decadenza.

Così nei secoli successivi solo l’acquedotto Vergine continuò a funzionare e gli abitanti di Roma furono costretti ad usare i pozzi e le acque del Tevere. Per avere una nuova fonte di acqua potabile ci sarebbero voluti oltre mille anni con la costruzione dell’acquedotto Felice (1587). Comunque nel 1122 papa Callisto II, vista la penuria di acqua, decise di costruire un canale artificiale per riportare l’acqua nelle campagne e servire i mulini, che numerosi sorgevano anche all’interno delle mura Aureliane, per l’appunto la Marrana dell’acqua Mariana. Il suo nome si pensa che derivi dal fatto che all’origine attraversa dei territori denominati anticamente “ager maranus”; da questo il termine “marrana” che poi è stato esteso a tutti i fossi dei dintorni di Roma. Il percorso iniziale utilizzava un fosso preesistente detto dell’acqua Crabra e prendeva le sue acque da Squarciarelli e dalla fonte La Preziosa, tra Marino e Grottaferrata, cioè dalle stesse acque che rifornivano gli antichi acquedotti romani Tepula  e Julia. Il canale quindi seguiva gli antichi acquedotti e scendeva verso Roma. Vicino a villa dei Centroni, a Morena, tramite una diga quest’acqua veniva incanalata in un condotto sotterraneo appartenente all’antico acquedotto Claudio. Uscito allo scoperto il fosso attraversava la tenuta di Roma Vecchia, dove formava, almeno fino agli anni ’30 del nostro secolo, un laghetto dove vi erano anche i pesci. Quindi proseguiva verso Roma, attraversava la via Tuscolana a Porta Furba, passava per via del Mandrione e costeggiando a distanza la Tuscolana giungeva a porta di San Giovanni, formando un laghetto. Quindi costeggiava le mura, passando lì dove ora è via Sannio. Entrava in Roma a porta Metronia, quindi percorrendo l’odierna Passeggiata Archeologica e passando attraverso il Circo Massimo, si gettava nel Tevere accanto alla Cloaca Massima.

Oggi il suo tracciato, in seguito all’urbanizzazione, è completamente cambiato. Così all’altezza di Roma Vecchia è stato deviato e ora confluisce nell’Almone.

Da notare come dal medioevo fino agli anni ’60 sia esistito un organismo di gestione delle acque, all’inizio appartenente alla Basilica di S. Giovanni e poi nell’800 trasformatosi in consorzio di gestione autonomo. Ciò testimonia l’importanza economica del fosso.

 


L’ALMONE E LE SORGENTI DELLA CAFFARELLA

 Il bacino idrografico dell’Almone era un tempo separato da quello dell’Acqua Mariana. Oggi invece le loro acque si mescolano prima di giungere alla valle della Caffarella.

La valle della Caffarella, formatasi geologicamente in seguito all’eruzione del “Vulcano Laziale” lì dove ora sono i Colli Albani, è ricchissima di acque provenienti oltre che dall’Almone anche dalle numerose sorgenti disseminate lungo l’ampio territorio della valle. Tra queste le più famose sono quelle dell’Acqua Santa e quelle del cosiddetto ninfeo Egeria.

Originariamente pare che le acque dell’Almone avessero origine dalla sorgente Ferentina presso Marino e che poi dai Colli Albani si gettassero nel Tevere, all’inizio della via Ostiense. In quest’ultimo punto, in epoca romana, come narra Ovidio (Fasti v. 335) avveniva, il 27 marzo di ogni anno, una solenne cerimonia religiosa che consisteva nel lavacro della statua della dea Cibele e dei suoi arredi sacri. Il rito, chiamato “lavatio matris deum” avveniva nel bel mezzo di una festa orgiastica, in cui i partecipanti si abbandonavano a danze sfrenate, mentre un anziano sacerdote in veste purpurea compiva i lavacri.

L’origine del rito si fa risalire al tempo della seconda guerra punica, nel III secolo d.C. Difatti in quel periodo, da una profezia contenuta nei libri sibillini si evinceva che se un nemico straniero (Annibale) avesse portato la guerra in Italia, sarebbe stato cacciato e vinto solo se la Magna Mater (Cibele madre di tutti i dei) fosse stata trasportata da Pessinunte a Roma. Partì così subito una delegazione per Pessinunte, in Asia Minore, nel regno di Antalo, re di Pergamo, alleato dei Romani. Per inciso allora si faceva risalire l’origine di Pergamo a Troia, come quella di Roma.

In questa città esisteva il più prestigioso tempio dedicato a Cibele : da questo fu prelevata una grossa pietra sacra (forse un meteorite) e trasportata a Roma per collocarla in un apposito tempio costruito sul Palatino. Sennonché la nave che trasportava la pietra si incagliò proprio alla confluenza dell’Almone con il Tevere, per cui i sacerdoti di Cibele procedettero a solenni riti di purificazione, dopo di che, secondo la leggenda, fu possibile riprendere la navigazione. Grati alla dea, le autorità religiose decisero di far ripetere ogni anno la cerimonia lustrale, che si svolse annualmente addirittura fino al 389 d.C., anno in cui fu abolita per incompatibilità con la religione cristiana.

Lungo il corso dei secoli l’Almone ha subito una miriade di deviazioni e canalizzazioni, motivate soprattutto dalla necessità di irrigare i campi attigui, che da sempre sono coltivati, nella fertile valle della Caffarella. Oggi il suo percorso è riconoscibile fino all’aeroporto di Ciampino a monte e a valle fino a dove incrocia l’Appia Antica. Da qui purtroppo il fosso viene intubato nel collettore di Roma Sud.

Per quanto riguarda il suo nome, Almone, gli è stato dato, secondo l’Eneide dall’omonimo eroe troiano, figlio di Tirro, custode degli armenti dell’esercito troiano, morto nella guerra tra troiani e latini che precedette la fondazione di Roma.

Tuttavia altri nomi gli sono stati dati nell’evolversi dei tempi, tra cui quello di “acquataccio”, sul cui significato esistono due versioni contrastanti : secondo la prima, il termine deriverebbe da “Acqua d’Accia” cioè da “Acqua d’Appia” ; per la seconda versione, meno accreditata, gli deriverebbe dall’aspetto acquitrinoso della valle della Caffarella, in epoca medioevale e rinascimentale. Del resto al fiume, in epoca moderna, sono stati dati altri nomi come “marrana della Caffarella” e “fosso dello Statuario”

Per quanto riguarda le sorgenti, quella dell’Acqua Santa, un’acqua dalle decantate virtù terapeutiche sin dall’antichità, si trova in via dell’Almone, nome dato alla via che dal 1920, congiunge l’Appia Nuova con l’Appia Pignatelli.

La sorgente Egeria si trova invece inserita nell’omonimo ninfeo, ai piedi della collina dove c’è Sant’Urbano. In quel luogo formava un celebre “lacus salutaris”, così chiamato per la terapeuticità delle sue acque.

Morena, 2002